Una bomba d’Amore

Attenzione, allontanarsi dalla linea gialla!
L’ultimo treno della giornata sta entrando in stazione. Gente che parte, gente che torna. Ultimi sguardi, ultimi abbracci, “ci vediamo tra un mese”, qualcuno snoda le cuffiette dell’iPod che gli terranno compagnia durante il viaggio. Si aprono le porte. Il treno riprende a camminare, acquista velocità pian piano e si allontana dalla stazione.
Silenzio. Le saracinesche del bar e dell’edicola che costeggiano la ferrovia rompono la quiete. Silenzio.

«Gengè, anche oggi si mangia domani», mi dice Mina. Le accenno un sorriso. Mina è una ragazza a cui il mondo ha strappato ogni cosa di dosso, i vestiti, le calze, un amore, un figlio, ma non la speranza. L’ha custodita gelosamente come una perla preziosa in un angolo del suo cuore, lontano dalle mani ingorde dei pescatori, ed è grazie a questo tesoro che Mina riesce ancora a sorridere alla vita, nonostante tutto.

Mi chiamo Gengè, ho 57 anni e da qualche anno la stazione è la mia casa. Sono un falegname, “Mastro Gengè”. Avevo una bottega in una via laterale del Corso. Con i miei lavoretti riuscivo a mantenere un tenore di vita umile, giusto. Poi gli affari hanno preso una brutta piega, le uscite hanno iniziato pian piano a superare le entrate, l’artigianato ad essere rimpiazzato sempre più dall’utilizzo dei macchinari. Questa è la mia storia, questa è la storia di tanti senzatetto che vivono in stazione. “Senza-tetto”, “senza-dimora”, “home-less”…
Non è stato facile indossare questi attributi, mi stanno stretti come le scarpe piccole per i piedi cresciuti. Io non sono un senzatetto, io sono molto di più, io sono Gengè, “Mastro Gengè”, io una dimora ce l’avevo: era una villetta con le pareti rosa chiaro, l’edera che incorniciava le finestre adornate di gerani, con il vialetto lastricato e un giardino di limoni.

La nostra è una famiglia aperta, come in ogni stazione c’è gente che parte e gente che torna. Siamo tutti fratelli, ad unirci però non è il sangue, ma i nostri vissuti, le nostre paure, le esperienze che condividiamo. Se abbiamo vinto la paura del buio, abbiamo scoperto la paura del freddo. Se abbiamo capito l’importanza delle piccole cose, abbiamo avuto il desiderio di condividerle… O di tenerle per noi. Come in ogni animale, così anche nell’uomo in quanto tale l’istinto della fame non sente ragioni. Puoi tentare di controllarlo, ma non sempre è possibile. Non demorde.
Ogni sera a dormire qui siamo in undici, ci dividiamo le panchine, i sottoscala, gli angoli al riparo. Ci sono Mina e Doris, ragazze ancora acerbe, nella mente e nel corpo, private del loro tempo di maturare; Morando, il nostro fisarmonicista; Giovanna e Carmen, due sorelle che con la loro professione di sarte ricucivano le cicatrici delle divise degli operai, mentre Mauro, il fratello, era il calzolaio del paese; Bernard, vecchio trapezista che sapeva meravigliare il pubblico con i suoi salti a mezz’aria; Giuseppe, che ha trovato nell’alcol il rifugio dalla realtà come fa lo struzzo nascondendo la testa sotto la sabbia; Antonio “Il Mago”, abile incantatore di folle; Mary, ferita da un amore forte e traditore.

Ho sempre provato attrazione per le lucciole. Ricordo quando da bambini con i miei fratelli nelle prime notti di giugno rincorrevamo i loro bagliori brillanti e intermittenti nel tentativo di sfiorarli e catturarli per un momento tra le mani a coppa e vederle splendere da vicino per meravigliarci.
Ogni giovedì sera, d’inverno come d’estate, la stazione si popola di lucciole. Sono i volontari delle Comunità, giovani e adulti, che con le loro torce entrano nel nostro buio con un bicchiere di tè caldo, qualche coperta e tante parole accoglienti. Ognuno di loro ha una famiglia, un lavoro, eppure ogni giovedì sera è qui, con noi e per noi. Si parla, si scherza, si ride, ci si confronta, e, finalmente, il tempo passa. Luca è uno degli ultimi arrivati, ha diciannove anni e tanta voglia di vivere e di fare del bene. Una volta gli ho chiesto cosa lo spingesse a spendersi così per gli altri, il motore del suo operare. Mi ha risposto: «Chi non serve, non serve!». Queste poche parole hanno generato in me tanti pensieri. Da bambini si ha la forza di sognare un mondo diverso, più giusto, e da giovani, per fortuna, c’è chi continua a crederci.

Nelle case e nelle chiese è la notte di Natale, in stazione è un giovedì sera come tutti gli altri. Mentre sto sistemando la borsa a mo’ di cuscino arriva Luca: «Ge, ho una proposta a cui non saprai dir di no!».
Mancano poche ore allo scoccare della mezzanotte, all’inizio del nuovo anno. Oggi pomeriggio, sull’imbrunire, le lucciole sono venute a strapparci dal nostro buio, come Luca aveva promesso. Siamo saliti sui loro pulmini, ed eccoci qui, a festeggiare la fine dell’anno trascorso in una casa d’accoglienza che veramente ti fa sentire a casa e accolti.
Mentre percorro i corridoi della casa allestiti a festa con addobbi natalizi, fiocchi e citazioni, il mio sguardo incontra quello di Gesù incorniciato alla parete. Resto immobile, in silenzio. Occhi negli occhi, sento il Suo Amore colmare le mie mancanze, accettare i miei difetti. Mi riconosco Figlio Suo.
«Corri Ge, vieni a vedere che cosa ha combinato Antonio con i suoi trucchetti di magia!», mi dice Mary. Distolgo lo sguardo, torno con i piedi per terra.
Mi guardo intorno e mi accorgo dei tanti ragazzi riuniti intorno al “Mago” che si chiedono dove sia andata a finire la sigaretta appena sparita durante il gioco di prestigio. Tra di loro intravedo Luca, mi avvicino per salutarlo. Mi ringrazia per aver accettato l’invito e mi presenta alcuni suoi amici. Mi dicono di essere anche loro volontari e che si sono spinti fin qui da diverse città d’Italia con il desiderio di mettersi al servizio del Prossimo, perché donare è donarsi. Siamo circa trecento, siamo pieni di vita. I loro piccoli bagliori intermittenti si completano a vicenda ed illuminano intensamente l’atmosfera; la loro energia riscalda i nostri cuori; il loro entusiasmo si riflette sui nostri volti. Mina e Doris si sono impadronite della pista e ballano al ritmo scandito dal battito di mani degli altri ragazzi vivendo l’età che gli appartiene; Giuseppe sfiora con un’insolita delicatezza la guancia di Carmen, che arrossendo abbassa lo sguardo sul piatto; Morando con la fisarmonica da il via alla tarantella, e Bernard improvvisa qualche passo, poi seguito da altri senzatetto. Mary siede a capotavola, mi sorride e mi accorgo di come le fossette sulle guance impreziosiscano ancor di più i suoi rari e fragili sorrisi.

3… 2… 1… Saltano i tappi di spumante, si alzano i bicchieri per i brindisi, baci e abbracci anche se non ci conosciamo. Incontro lo sguardo di Gesù nello sguardo dei vicini e cerco di ricambiarlo, ci provo, spero di riuscirci. Prima in quegli occhi ho sintonizzato il mio cuore sulla frequenza giusta, e ora posso finalmente ascoltare. Sento di avere tra le mani una bomba d’amore. Ed io la voglio innescare.


Tema: Emarginazione e disagio sociale

Autore: Agnese Sabina

Cod. 38