LA PRIGIONE DELLE SCELTE

Sbattei con rabbia la porta e, con il nero sul volto, chiusi la finestra senza neanche guardare fuori e mi misi a letto. L’indomani sarebbe ricominciato il mio giro alla ruota della tortura diretta dalla mia vita. Avevo solo un desiderio: morire, quella notte stessa

Sentivo la freschezza dell’erba del prato sulle piante dei miei piedi scalzi mentre camminavo nella radura disseminata qua e là da alberi singolari, non fitti come quelli di una vera foresta, semplicemente piantati ognuno a debita distanza dall’altro, come se il tutto dovesse apparire come una radura di statue naturali; la gran parte erano pioppi e ognuno di questi pareva voler sovrastare con i suoi rami i piccoli alberi di agrifoglio che, in maniera del tutto eccezionale, crescevano nelle loro vicinanze. Non udivo niente, i suoni sembravano essersi da tempo ormai assopiti nel silenzio di quel posto. La mia camminata ad un tratto si fermò, ero stato così preso dal paesaggio che non mi ero reso conto di dove stessi andando. Mi guardai attorno, ma lo scenario era sempre uguale: alberi solitari su un’infinita distesa di erba smeraldo. Come se il tutto non sembrasse ancora abbastanza strano capii di essere ancora nel mio morbido pigiama grigio, sempre un po’ largo per le mie dimensioni; in quel momento mi si affollarono finalmente nella testa le domande sul come fossi finito lì dalla mia normalissima camera da letto. Mentre ero ripiegato su me stesso, la mia attenzione si spostò verso un sibilo che si mosse per la foresta statuaria. Senza pensare alzai gli occhi al cielo, convinto dall’istinto che quel rumore così reale a sentirsi quanto silente a vedersi provenisse da lassù, ma vidi solo l’azzurro freddo su cui si muovevano disperdendosi nell’aria i cirri delle alte quote. Cercai allora con gli occhi tutto intorno a me, ma niente lo stesso. Il sibilo pareva così vicino, eppure non riuscivo a vederne la fonte e quel che ancor più mi stupiva era che mi si faceva sempre meno distante. Alla fine mi convinsi ad abituarmici, probabilmente era solo una mia impressione, mi capitava spesso di sentire suoni immaginari. Ripresi a cercare i motivi per cui ero finito in quella distesa, ma d’improvviso non mi mossi più di un centimetro: le gambe, le braccia, il busto e la testa, tutto si era bloccato, come se fossi stato avvolto dal vento gelido delle steppe del nord. Il sibilo allora si avvicinò ancora e lo sentii aggrovigliarsi tutto intorno a me, come se mi volesse rinchiudere, poi vidi una miriade di scie nere brillanti apparire mentre mi ruotavano vicino con moti soavi e armonici, sempre alla stessa velocità, sempre con lo stesso periodo, sempre con la medesima grazia e mistero che noi addiciamo al movimento delle galassie. Finita quella ipnotica danza, tutte le luci nere si alzarono in alto verso il cielo e si avventarono su di me con la velocità delle folgori. Istintivamente chiusi gli occhi. Li riaprii dopo qualche secondo e mi ritrovai chiuso in una figura tetraedrica color porpora che ruotava su sé stessa mentre io ero sospeso in aria. Fuori era tutto buio, l’unica luce era quella emanata dalla prigione, che non la smetteva di ruotare in tutti i sensi. Detti una botta forte alla struttura per cercare di uscire e questa all’urto si scompose nei singoli triangoli che si misero intorno a me, mentre continuavo a restare sospeso nel vuoto. Avevo il respiro affannato e speravo solo che di lì a poco mi sarei svegliato…..se quello era veramente un sogno come ritenevo……..ma nonostante la soluzione del dubbio fosse scontata, qualcosa intorno e dentro di me mi faceva percepire che il mio corpo e tutto il resto in quel momento non erano fatti di materiale onirico.

I triangoli purpurei di scatto si richiusero su sé stessi come frecce e mi trafissero uno alla volta per poi staccarsi e continuare a colpirmi a ripetizione. Il dolore non era tanto per la ferita, quanto per il fatto che ogni volta che venivo ferito, avevo una visone, rivivevo le immagini del mio passato, erano diverse, ma accomunate da un unico sentimento: il dolore. La prima freccia annebbiava la mia vista di colore rosso e le delusioni riaffiorarono solide nel mio cuore, la seconda portava il colore nero, con i miei continui sbagli ed errori, ed infine l’ultima il bianco, il dolore della paura. Era una tortura, ma perché avveniva? Non riuscivo a contenere quei ricordi di sofferenza, era come se venissi schiacciato da tutti gli alberi di quella foresta, da tutti quei vivi e immobili pioppi di pietra. Piano piano ebbi la percezione che il buio intorno a me mi stesse ammantando in un lembo di morte, ma è giusto morire per i propri errori? Si può pensare di andarsene per una delusione? O di scomparire per la paura dei sogni? Ormai era chiaro, quel nero era la mia anima e tutta quella sofferenza che arrivava in massa per schiacciarmi forse non poteva essere altro se non un avvertimento: molto spesso, infatti, i cambiamenti più grandi fanno soffrire. Era una spinta verso qualcosa………..una nuova vita, che avrei dovuto affrontare con coraggio in quella foresta, anche se piena di cipressi, altrimenti il vuoto della mia anima mi avrebbe definitivamente avvolto in un carcere infinito. Ma dalla prigione in cui mi trovavo in quel momento era ancora possibile uscire. Come il seme che cresce lentamente, feci ritornare in me tutti quei ricordi belli, dolci e divertenti che avevo sempre ignorato, ma che c’erano e non erano pochi. Le frecce allora rallentarono e da purpuree che erano divennero bianche, poi saettarono contro il buio che mi stava ancora avvolgendo e il tutto fu un ondata di bagliori di luce.

I miei occhi dolcemente si riaprirono. Guardai intorno a me muovendo la testa sul morbido cuscino del letto, poi, ancora con dei rimasugli di sonno, mi alzai e andai verso la finestra…La aprii……………………. Un respiro e una nuova aria ed una nuova luce sentii fluire attraverso il mio corpo mentre osservavo la foresta del mondo. Ora erano finalmente gli agrifogli a scalzare i pioppi. Uscii e mi distesi supino a guardare il cielo: era un azzurro infinito.

FINE


Tema: Fragilità

Autore: Federico Latini

Cod. 50