Padre

Autore: Federico Latini


Lascio andare un sospiro, sono tra le mura di casa, adagiato sul letto, è ormai tanto che vi dormo da solo, da quando una malattia ha portato via tua madre, mi ero quasi abituato a questa solitudine, le coperte non sembravano più i serpenti dei miei incubi: sapevo che la mia vita, nonostante tutto, aveva uno scopo. Ma ora i serpenti torneranno…….perché, perché è dovuto succedere? Eri un ragazzo splendido, vivo, erano poche, veramente poche le volte che qualcuno ti scorgeva l’ombra di un cruccio sul volto, eri sempre sorridente, buono, non capisco….potessi riavvolgere il tempo, anche di un solo giorno, il tuo viso non sarebbe un immagine su una lapide bianca. Quel tuo gesto estremo…qualcosa ti turbava, eppure non ne hai mai parlato con nessuno, nemmeno con me, tuo padre. Chi potrà colmare il vuoto che hai lasciato? Che cosa dirà tua madre da lassù? I mei occhi si annebbiano, l’immagine del soffitto sfuma, si oscura, stanotte le coperte saranno nuovamente spire che da incubi si attorciglieranno intorno alla mia anima. Se solo avessi la certezza che riposi in pace, forse è colpa mia, non sono mai stato un buon padre, forse non ti ho amato abbastanza. Figlio mio, sono qui al buio a pensarti, ci fosse un modo, anche uno solo per riportarti indietro… qualsiasi cosa….farei qualsiasi cosa. Mi basterebbe solo saperti lassù con tua madre, sapere che non sei destinato a soffrire in eterno….già……forse è meglio che mi lasci andare al sonno, un padre solo non può fare nulla se non pregare, pregare che almeno le arpie della selva infernale abbiano pietà di te laggiù. Fuori si fa scuro, giunge una notte senza luna, sento piano piano spire soffici avvolgersi lentamente intorno a me, sono nel mio limbo; che mi soffochino, ormai non ha più senso resistere, ma le spire sembrano inquiete, si muovono, ma non agiscono, qualcosa le turba. Mi guardo intorno, sopra di me sfavilla qualcosa, una minuscola lucina azzurra sembra avvicinarsi, sì, è sempre più estesa, sempre più intensa. I serpenti lentamente si dileguano. Osservo la luce, ora è ovunque, immensa, un’immagine si forma al centro dell’alone color del cielo, un fanciullo appare, sorretto da due candide ali leggere. Riconosco la creatura, forse inizio a capire; l’angelo mi tende la mano, posso solo afferrarla. Così le mie membra si rilassano un’ultima volta e trascinato via osservo il mio corpo sul letto, consumato infine dal dolore. Il Signore ha deciso, la mia ora è scoccata. Saliamo sempre più in alto, tra le meraviglie del cielo, verso una luce accecante. Vengo depositato dolcemente su una nuvola di fronte ad un cancello dorato, lì San Pietro mi apre dicendomi: “Benvenuto fratello”. Sono in Paradiso, nel Cielo della Luna. Passa il tempo, tra i cieli vago, Ma felice non sono, non ci riesco, come potrei se continuo a pensare che tu, mio figlio, ora sei negli abissi a soffrire mentre io sono qui beato. E’ come se sentissi le tue urla di dolore salire fin quassù. Tu, figlio stupendo, sei lì, colpevole di un solo gesto, mentre io, che non ti ho saputo amare come un vero padre, sono qui. Mi sporgo da una nuvola, forse dovrei rassegnarmi e accettare che sia andata così, ma in cuor mio sento che non lo saprei mai fare. Un pensiero mi attraversa……ne ho paura, ma lo accolgo lo stesso: è forse l’unica soluzione, l’ultimo atto disperato di un padre; so di correre un rischio enorme e sento già le fiamme dell’inferno bruciarmi senza sosta, ma, figlio mio, saperti laggiù mentre io sono in cielo è il mio Inferno. “Dio mi perdoni!” Esclamo. Mi lascio cadere, precipito giù, sempre più giù, gli abissi prima invisibili iniziano a prendere forma sotto di me, sono vicini, sempre più vicini, sempre di più…….L’atterraggio mi strappa un urlo di dolore, ma presto questo se ne va. Sono in una landa nera. Mi rialzo, vedo la porta del regno del tormento, è lei, di fronte a me. Un diavolo mi spinge a terra, mi crede un condannato, ordina di aprire la porta e mi sbatte dentro in malo modo. Clangore rimbombante. La porta si è chiusa. Ora mi rendo conto del

mio gesto, tremo, sono da solo, viaggiatore nell’Inferno, la paura mi assale, che cosa ho fatto? Forse avrei dovuto accettare il tuo destino, ma no, ora ho iniziato, e il ritorno sarà impossibile solo senza di te. La mia unica speranza è che, con tutte le anime che attendono il loro destino, tu non sia ancora stato condannato e se così non è, allora sarò albero dannato vicino a te. Passo gli ignavie giungo alla spiaggia dei dannati. Caronte mi strattona subito sulla sua canoa. Raggiungiamo la riva opposta dell’Acheronte, una palata mi butta sulla terraferma e ricado al cospetto terribile di Minosse, il giudice infernale. Un dannato avrebbe detto tutto, ma io non lo sono. Mi fingo un suicida. Scrutandomi minaccioso, lui si avvinghia sette volte con la coda, una voragine sotto di me si apre e precipito nell’abisso. Cadendo sento dei rami spezzarsi finché la terra non mi frena e dei lamenti strazianti si alzano disperati tutto intorno. Ripresomi osservo il paesaggio: la cupa selva dei suicidi. Subito ti chiamo, ti cerco tra gli alberi dei condannati, nascondendomi all’arrivo delle cagne e degli scialacquatori. Dove sei? Sono venuto a salvarti. Un gemito. Lo riconosco. Sento sfiorarmi da un ramo immobile, mi giro…ti vedo, ti ho trovato! Accarezzo i tuoi rami, sono tutti spezzati, come ti hanno ridotto? Non parli, forse un’arpia ti ha appena torturato. Ho sperato di raggiungerti in tempo, ma non ci sono riuscito, allora sarò un albero anche io, vicino a te. Disperato ti abbraccio e lacrime iniziano a scendere dai miei occhi. Sono stato un pessimo padre, sempre stato preso dall’educarti che non ho capito quanto tu stessi soffrendo, ti chiedo perdono, figlio mio, perdonami! Ricordi riaffiorano. Quando, appena nato, ti ho alzato al cielo, quando ti ho visto camminare per la prima volta di fronte ai miei occhi, quando volevi dormire vicino a me per paura degli incubi, le partite di calcetto insieme, i litigi, le notti insonni passate ad aspettare che tornassi a casa ubriaco dalle feste. Sei sempre stato la mia unica ragione di vita, se tutto ora deve finire, sono contento di averti visto un’ultima volta; se non ti ho saputo amare come un vero padre quando eri vivo, lo farò da adesso in poi. Piano piano sento una crepa formarsi sul tuo tronco, la osservo, si espande dovunque su di te, come se….uno squarcio legnoso pervade la foresta e ti vedo, umano, cadere tra le mie braccia.Sconvolto prendo il tuo viso tra le mani e ti guardo negli occhi…quello sguardo…lo sguardo che avevi quando sei nato, gli stessi occhi con cui mi hai guardato quel giorno; ti stringo più forte che mai; come sia riuscito a liberarti è un miracolo, forse c’è davvero una speranza di salvarti, ma ora il tempo ci è nemico: non ci vorrà molto perché il demonio si accorga di tutto. Urla infernali iniziano a risalire dalle profondità. Ti stringi a me, hai paura, la ho anche io. Iniziamo a correre, il terrore martellante ci spinge nella corsa, corriamo verso l’uscita della foresta, ma non finisce mai, è infinita, sentiamo spezzarsi rami su rami e lamenti di dolore si alzano agghiaccianti. Continuiamo a correre, ma la foresta seguita ad apparire di fronte a noi. Un ululato demoniaco stride nell’atmosfera infernale: stanno arrivando. Finalmente la boscaglia finisce ed entriamo nel territorio degli eretici; ci facciamo strada tra le tombe infuocate mentre urla e ruggiti continuano a risuonare ovunque. Un esercito di diavoli emerge dalla foresta e si lancia furioso all’inseguimento; noi non ci fermiamo,ma il ritmo del terrore presto ci sfiancherà. i demoni si avvicinano, ci stanno raggiungendo, sentiamo i loro ululati trapanarci l’anima. Scorgo la fine del territorio degli eretici e mi rendo conto di aver commesso un errore tremendo: le mura della città di Dite. Di fronte a noi un altro esercito di diavoli si lancia all’assalto. Ci fermiamo. E’ finita. Tremi, ti stringo forte a me. I demoni sono su di noi, chiudo gli occhi……Una spada si pianta sul terreno, i diavoli arretrano: è l’angelo. Ci prende e ci solleva, volando verso l’alto. So dove sta andando, è tempo che la mia azione venga punita e tuttoritorni al suo posto. Che stupido sono stato a voler sfidare le leggi divine….o forse no, no non è detto! Sulla Terra siamo sempre sicuri di conoscere la giustizia divina, ma chi siamo noi per conoscere la volontà di Dio? Io ho paura, non te lo nascondo, ma so in cuor mio di aver fatto ciò che un vero padre avrebbe fatto per il proprio figlio; non si può chiamare diavolo un angelo che ha

commesso un solo sbaglio. L’oscurità si apre ed appare il cielo, veniamo depositati su una nuvola. Una luce maestosa ci acceca e appaiono due arcangeli alla destra e alla sinistra del bagliore, il primo tiene in mano una chiave d’oro, il secondo una spada infuocata. Si ode una voce tonante, sentendola mi inginocchio e chino il capo, impaurito. “Che hai fatto?”. Non riesco a parlare. “Che hai fatto?” Ripete la voce. Disperato alzo allora lo sguardo: “Ho cercato di salvare mio figlio dalle fiamme dell’Inferno! Dovunque fossi stato non avrei mai sopportato di saperlo soffrire in eterno!”. Non riesco a dire altro, sono solo un padre che vuole proteggere suo figlio. L’angelo accompagnatore ti solleva e ti depone più avanti, sotto i due giudici angelici. Silenzio interminabile. L’angelo alla destra del bagliore alza la chiave mentre l’altro abbassa la spada. Inizio a piangere, verso lacrime di gioia: sei salvo, figlio mio, ora la tua anima sarà in pace nei cieli. Senza voltarti, vieni portato nel regno dei cieli, dove ti aspetta ansiosa tua madre. E’ tutto finito, non so quale sarà il mio destino, la cosa importante è l’essere riuscito a salvarti. Figlio mio, dovunque io sarò, in Paradiso con te, in Purgatorio o tra le fiamme dell’Inferno, la mia anima sarà in pace, perché l’amore di un padre per suo figlio è più forte di ogni destino. Rivolgo lo sguardo alla luce. Sono qui, di fronte a Dio e attendo il suo verdetto.